Linguaggio medico o linguaggio corrente?
Sovrastimiamo la comprensione di linguaggio medico da parte dei pazienti, in maniera sistematica e documentata.
Tra le conseguenze, un ricorso costante e routinario – benché non necessariamente consapevole – al lessico specifico, anche per spiegazioni che potrebbero essere condotte in linguaggio corrente.
E questo, come visto in precedenza leggi l’articolo, può avere un impatto su compliance e motivazione del paziente verso l’iter terapeutico – e quindi, in ultima analisi, sul risultato clinico finale.
Per dimensionare il fenomeno, qualche numero dalla letteratura:
- In uno studio UK sulla comprensione di termini specifici in un ambito di estrema rilevanza per i pazienti come la chirurgia oncologica, si è osservato ad esempio che:
- Solo il 19% dei pazienti ha dato una definizione corretta di “radiologo”, il 26% di “patologo” e il 43% di “oncologo”.
- Un terzo dei pazienti non ha definito correttamente l’aggettivo “benigno”; la situazione è risultata analoga per il termine “maligno”
- Solo 1 paziente su 5 ha definito correttamente “chemioterapia” (20%) e “radioterapia” (19%).
- Sul fronte opposto, cioè dell’ampiezza del ricorso al lessico medico da parte dei clinici, un recente studio dell’Università della Florida nell’ambito delle cure primarie ha rilevato che, nelle visite analizzate:
- Il lessico clinico è stato utilizzato con una media di oltre quattro volte per appuntamento
- Solo il 20% circa delle visite sono state condotte senza ricorso a linguaggio specifico
- Sono stati utilizzati regolarmente anche acronimi, abbreviazioni e sinonimi tecnici non necessari
- Meno della metà dei termini medici è stata spiegata durante il colloquio
Vediamo ora, quindi, per quali fini l’uso di lessico medico resta fondamentale, quali sono i rischi associati ad esso, e come ovviare a questi ultimi “traducendo” di fatto il linguaggio clinico in linguaggio corrente, in maniera appropriata.
Il motivo principale per cui ha senso parlare con termini tecnici al paziente è la definizione precisa del suo stato o del suo iter – definizione che, tuttavia, è bene non lasciare come pura espressione ma spiegare con un linguaggio adeguato al livello di comprensione del paziente.
Dare un nome preciso a una condizione o un approccio terapeutico ci consente infatti di portare a conoscenza del paziente i termini che ritroverà necessariamente nei propri documenti clinici e in tutti gli scambi di informazioni tra le diverse figure mediche che gestiranno il suo caso in un lavoro di team.
In questo senso, utilizzare con il paziente il lessico specifico – ben contestualizzato – ha un significato di inclusione del paziente stesso nelle conversazioni e nelle scelte che riguardano la sua condizione medica.
Non risiede invece nell’uso di linguaggio clinico la percezione di professionalità da parte del paziente, che riferisce tale valore all’esperienza di cura in senso più ampio, a partire dalla capacità di ascolto e dalla chiarezza della comunicazione.
I motivi per evitare di utilizzare lessico tecnico – quando non strettamente indispensabile – sono invece diversi, e riguardano il rischio di:
- Rendere più difficile per i pazienti comprendere ciò che il medico sta dicendo loro, il che può portare a fraintendimenti o dubbi che, a loro volta, possono minare l’aderenza ai piani terapeutici, con potenziali esiti negativi per la salute.
- Far sentire i pazienti intimiditi o a disagio.
In caso di limitata familiarità con la terminologia medica, infatti, l’uso di un linguaggio complesso può dare all’interlocutore la percezione di un limitato intento relazionale da parte del curante, il che può creare o accentuare una barriera tra medico e paziente complicando l’intero iter di trattamento. - Dare una percezione di approccio impersonale.
Il paziente può associare l’utilizzo di linguaggio non commisurato a lui con una limitata apertura all’ascolto. Anche questo fattore può rendere più difficile per il medico costruire un rapporto efficace con il paziente, con le conseguenze già illustrate.
Per tradurre il lessico medico in linguaggio corrente ed essere certi di aver raggiunto il traguardo, risulta utile quindi:
- Non dare nulla per scontato: spiegare nei termini più semplici possibili qualsiasi espressione che non appartenga con evidenza al linguaggio quotidiano comune
- Utilizzare analogie con fatti, meccanismi, funzionamenti con cui si ha generalmente una buona familiarità
- Disegnare: schemi e modelli possono rendere in maniera più immediata concetti medici anche complessi, agevolandone una comprensione più concreta
- Validare la comprensione da parte del paziente, chiedendo feedback o, ad esempio, utilizzando la tecnica del teach-back di cui abbiamo parlato qualche articolo fa.
- Fornire materiale scritto: lasciare opuscoli o dispense può essere utile per i pazienti che desiderano rivedere le informazioni al proprio ritmo. Questi materiali dovranno pertanto essere scritti in un linguaggio semplice, includendo le definizioni dei termini chiave.
In pillole:
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Per approfondire:
Kelly PA, Haidet P. Physician overestimation of patient literacy: a potential source of health care disparities. Patient Educ Couns. 2007 Apr;66(1):119-22
Miller AN, Bharathan A, et al. Use of seven types of medical jargon by male and female primary care providers at a university health center. Patient Educ Couns. 2022;105(5):1261-67
O’Connell RL, Hartridge-Lambert SK, Din N, St John ER, Hitchins C, Johnson T. Patients’ understanding of medical terminology used in the breast clinic. Breast. 2013 Oct;22(5):836-8
Williams N, Ogden J. The impact of matching the patient’s vocabulary: a randomized control trial. Family Practice (21): 630-635 (2004)
Zhang, J., Zhang, J., Wang, K. et al. Should doctors use or avoid medical terms? The influence of medical terms on service quality of E-health. Electron Commer Res (2021)