Approfondire meglio e in meno tempo
L'esempio del metodo B.A.T.H.E.
Tempo.
È quel che manca a tutti, sempre.
Ma è anche ciò che il paziente si aspetta dalla nostra visita, e ciò che servirebbe a noi per gestire al meglio ogni caso.
In pratica, bisognerebbe riuscire a dedicare più tempo, impiegando però meno tempo.
Sembrerebbe impossibile.
Eppure, una soluzione ci può essere, e arriva, ancora una volta, da una comunicazione medico-paziente più efficace.
In particolare, la quadratura del cerchio può risiedere in un metodo specifico con cui condurre l’anamnesi, o le visite successive; un metodo strutturato che, mentre copre aree solitamente non approfondite, incanala il discorso in un flusso preciso che punta al cuore di ogni area, disincentivando ogni dispersione – di attenzione, tempo e energie – al di fuori di esse.
Una delle tecniche applicabili è il metodo B.A.T.H.E., di cui abbiamo accennato nell’articolo precedente [ “Comunicazione medico-paziente come atto clinico“] a proposito delle modalità efficaci per porre domande aperte in sede di visita, in modo da individuare nelle risposte elementi aggiuntivi utili alla diagnosi o alla scelta terapeutica più opportuna.
Il metodo B.A.T.H.E. propone di incanalare il racconto del paziente secondo un flusso preciso, scandito dalle seguenti domande che il medico pone sequenzialmente, guidando il paziente a dare risposte prioritarie, concrete, senza dispersione in dettagli non funzionali:
- Background
“Cosa ti sta succedendo?”
L’apertura del flusso è volutamente ampia, per coprire anche aree della quotidianità della persona collaterali alla sfera clinica. L’importante è che ci si focalizzi su fatti, su cose che succedono, su accadimenti. Questo aiuta a concentrare il colloquio su elementi attivi, concreti, e a far priorizzare al paziente questi aspetti, su cui si andrà a lavorare insieme, rispetto ad altri che non portano utilità nel percorso.
- Affect (impatto emozionale)
“Come ti fa sentire questo?”
“Al di là dei sintomi, trovi che abbia un effetto su di te e su ciò che fai ogni giorno?”
Stimolare il paziente a riconoscere la propria risposta emozionale alla situazione e a “etichettarla” ha un valor terapeutico
-
- di per sé – poiché dare un’identità a una reazione è il primo passo per gestirla
- ai fini dell’iter clinico, perché permette al paziente – e, di riflesso, al curante – una migliore lettura di ciò che viene o non viene fatto, di ciò che è realmente nelle possibilità del paziente fare o non fare.
- Trouble (preoccupazione prioritaria specifica):
“Di questa situazione, cosa ti preoccupa di più?”
Conoscendo la malattia e le sue possibili evoluzioni, siamo spesso portati a presupporre ex ante quali siano le maggiori preoccupazioni dei pazienti a proposito, riportando la tematica solitamente in una sfera puramente clinica.
Ma è un nostro bias.
Non di rado, infatti, la maggiore preoccupazione (in questa domanda è bene farne selezionare idealmente una) risiede altrove.
Ecco perché puntare tutto sulla gestione dei parametri clinici spesso non aiuta il paziente nel percorso – e, di conseguenza, non garantisce la sua partecipazione attiva e puntuale allo stesso.
Se la rilevanza è altrove, è bene saperlo per gestire insieme questo “altrove”, poiché questa è la porta di accesso, presso il paziente, perché venga seguita con efficacia la strada a maggior potenziale clinico.
- Handling (gestione attuata)
“Come stai cercando di gestire la questione?”
“Cosa stai facendo attivamente a questo proposito?”
Questa domanda aiuta a valutare le risorse del paziente – in termini di partecipazione attiva, di pensiero, di capacità organizzativa e lettura della condizione – nonché la sua propensione o meno a reagire alla situazione.
In base a questi elementi sarà più agevole scegliere, tra le alternative terapeutiche, quella migliore per il caso specifico, andando oltre la selezione basata solo sull’efficacia potenziale di una data soluzione e comprendendo, invece, la capacità della persona di gestire o meno un dato iter.
- Empathy
La chiusura del flusso non è in realtà una domanda, ma una frase a commento che attesti in maniera immediata una modalità di ascolto attivo e di empatia da parte del medico curante. Basta una semplice espressione, che rifletta ciò che abbiamo colto – a livello anche emozionale – dalle risposte ricevute: “certo non deve essere facile”, ad esempio, o “di sicuro una bella fatica”, o qualsiasi altro commento adeguato al caso.
Una chiusura di questo tipo ha anche l’effetto di rassicurare il paziente sul fatto che tutto quanto riferito nelle risposte, compresi i lati emozionali legati alla situazione, viene ritenuto ragionevole date le circostanze: in qualche modo, la percezione è che tutto sia “sotto controllo”.
Nel prossimo articolo andremo a vedere alcuni risvolti di questa tecnica applicata alla Medicina Generale, in particolare con i pazienti ad elevata frequenza di accesso all’ambulatorio.
In pillole:
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Per approfondire:
Chichirez CM, Pulcărea VL. Interpersonal communication in healthcare. J Med Life. 2018;11:119-122
Lieberman, Stuart MR. The BATHE Method: Incorporating Counseling and Psychotherapy Into the Everyday Management of Patients. Prim Care Companion J Clin Psychiatry. 1999 Apr;1(2):35-38
Stuart MR, Lieberman JA. The Fifteen Minute Hour – Efficient and Effective Patient-Centered Consultation Skills – Taylor & Francis – 6°ed (2018)